Viviamo in un’epoca di trasformazione senza precedenti. L’intelligenza artificiale è entrata prepotentemente nelle nostre vite quotidiane: dagli assistenti vocali che rispondono alle nostre domande, agli algoritmi che selezionano i contenuti che vediamo online, fino ai sistemi che potrebbero presto influenzare decisioni lavorative, mediche ed educative. Questa rapidità di cambiamento genera, comprensibilmente, una risposta emotiva complessa che merita di essere esplorata con attenzione clinica. Secondo l’AI Index Report 2025 dell’Università di Stanford, gli investimenti globali in intelligenza artificiale hanno raggiunto i 252 miliardi di dollari nel 2024, con una crescita del 26% rispetto all’anno precedente. Eppure, parallelamente a questa espansione tecnologica, emerge un fenomeno psicologico significativo: il 36% delle persone intervistate teme di essere sostituito sul lavoro dall’intelligenza artificiale, anche se la maggioranza rimane ottimista riguardo alla possibilità di concentrarsi su mansioni meno ripetitive. Ma questa paura non riguarda solo il lavoro. È qualcosa di più profondo, che tocca questioni fondamentali della nostra identità, del nostro senso di controllo e della nostra relazione con la tecnologia.
Le radici psicologiche della paura dell’IA
Da una prospettiva psicodinamica, la paura dell’intelligenza artificiale può essere compresa come una manifestazione di ansie arcaiche riattivate da una minaccia percepita alla nostra autonomia e al nostro senso di competenza. Uno studio dello European Parliamentary Research Service evidenzia come questa paura derivi principalmente dal confondere realtà e fantasia, dal non saper distinguere tra la vera intelligenza artificiale che ci circonda quotidianamente e il mito fantascientifico dell’IA.
Le principali fonti di questa ansia includono:
La perdita di controllo. L’idea che un sistema possa “decidere da solo” senza supervisione umana spaventa profondamente, non solo dal punto di vista tecnologico ma soprattutto come sensazione di perdere il controllo su ciò che dovrebbe essere al nostro servizio. Questa paura riattiva dinamiche primordiali legate alla dipendenza e all’impotenza.
L’influenza della narrativa culturale. Film, serie TV e libri hanno costruito nel tempo un immaginario popolato da robot ribelli, IA autocoscienti e futuri distopici. Anche se razionalmente sappiamo che sono finzione, queste narrazioni influenzano profondamente le nostre risposte emotive, creando quello che in psicoanalisi potremmo definire un “oggetto persecutorio” proiettato sulla tecnologia.
La minaccia all’identità professionale. Il lavoro non è solo una fonte di reddito, ma anche un elemento costitutivo della nostra identità. La possibilità che l’IA possa sostituirci tocca questioni profonde legate al nostro valore personale e alla nostra utilità sociale.
La complessità e l’opacità del funzionamento. Una delle principali paure riguarda la complessità tecnica dell’IA, che genera un senso di inadeguatezza e impotenza di fronte a qualcosa che non comprendiamo pienamente.
L’intelligenza emozionale come risorsa adattiva
È proprio qui che l’intelligenza emozionale emerge come una risorsa psicologica fondamentale. Riprendendo il modello teorico di Mayer, Salovey e Caruso, l’intelligenza emozionale si articola in quattro domini essenziali: consapevolezza di sé, gestione di sé, consapevolezza sociale e gestione delle relazioni. Studi recenti condotti su studenti universitari sudafricani hanno dimostrato che livelli più elevati di intelligenza emozionale tendono a risultare in maggiori livelli di benessere psicologico. Questa capacità di riconoscere, comprendere e regolare le emozioni può fare la differenza nel modo in cui affrontiamo l’ansia tecnologica.
Come l’intelligenza emozionale ci aiuta a gestire l’ansia da IA
1. Consapevolezza emotiva
Il primo passo è riconoscere e legittimare le nostre emozioni rispetto alla tecnologia. Sentirsi ansiosi, spaventati o sopraffatti di fronte ai rapidi cambiamenti tecnologici è normale e comprensibile. L’intelligenza emozionale richiede innanzitutto di ammettere di provare emozioni come rabbia, felicità, frustrazione o divertimento, anche quando ci insegnano a ritenere queste emozioni come sbagliate. Da una prospettiva psicodinamica, questo significa permettere che le nostre ansie vengano alla coscienza piuttosto che rimuoverle o negarle. Solo ciò che può essere mentalizzato può essere elaborato.
2. Regolazione emotiva e resilienza
Una ricerca pubblicata nel 2024 su ScienceDirect evidenzia come l’intelligenza emozionale sia una caratteristica essenziale per i leader digitali nel ridurre il technostress dei dipendenti, sviluppando livelli più elevati di consapevolezza delle emozioni, sia proprie che altrui. La capacità di regolare le proprie risposte emotive permette di non rimanere bloccati in uno stato di ansia paralizzante, ma di utilizzare l’emozione come segnale informativo. La letteratura specializzata mostra che la percezione di bassa autoefficacia nell’uso della tecnologia è associata ad alto stress ed emozioni negative, suggerendo che il lavoro sulla propria fiducia nelle capacità adattive è fondamentale.
3. Reinterpretazione cognitiva e mentalizzazione
Secondo gli esperti di intelligenza emozionale, è importante non fermarsi all’apparenza delle cose ma cercare sempre risposte alternative a ciò che può sembrarci più ovvio. Questo processo ricorda la ristrutturazione cognitiva della terapia cognitivo-comportamentale, ma con una maggiore attenzione alla dimensione emotiva. Possiamo chiederci: “Perché questa tecnologia mi spaventa così tanto? Quali fantasie sto proiettando su di essa? Quali parti della mia identità sento minacciate?”
4. Costruzione di una relazione più consapevole con la tecnologia
Studi recenti hanno dimostrato che gli utenti che interagiscono con chatbot terapeutici percepiscono un maggiore senso di comprensione e supporto, favorendo la diminuzione di ansia e stress. Questo suggerisce che la relazione con la tecnologia può essere trasformativa quando mediata dalla consapevolezza emozionale. Piuttosto che vedere l’IA come un nemico o una minaccia, possiamo sviluppare una relazione più matura e differenziata, riconoscendone limiti e potenzialità.
Il paradosso dell’aumentazione: l’IA come strumento, non come sostituto
Una prospettiva importante emerge dalla ricerca recente: studi del 2024-2025 dimostrano consistentemente che l’uso dell’IA in contesti clinici non corrisponde a una diminuzione dell’impegno del terapeuta umano, ma piuttosto a un suo incremento qualitativo e quantitativo. Questo fenomeno, chiamato “paradosso automazione-aumentazione”, suggerisce che l’accoppiamento di esseri umani e strumenti di IA, date le loro forze complementari, espande le capacità umane piuttosto che rimpiazzarle. L’intelligenza artificiale libera risorse cognitive per attività di livello superiore come l’analisi critica, la sintesi creativa e l’intuizione clinica. Questo dato è particolarmente rilevante dal punto di vista psicologico: la tecnologia non ci sostituisce, ma ci permette di concentrarci su ciò che ci rende più propriamente umani – la capacità di connessione empatica, la creatività, il pensiero critico complesso, la comprensione contestuale profonda.
L’IA e la salute mentale: un rapporto complesso
È interessante notare che l’intelligenza artificiale stessa viene sempre più utilizzata nel campo della salute mentale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i disturbi d’ansia colpiscono circa 300 milioni di persone, pari al 3,6% della popolazione globale, e i numeri sono destinati a crescere. Ricerche del 2025 dimostrano che l’intelligenza artificiale consente oggi di accelerare i tempi di diagnosi, aumentare la precisione e supportare terapeuti e psichiatri nella personalizzazione dei trattamenti. Tuttavia, uno studio condotto su 104 donne con disturbi d’ansia ha dimostrato che mentre l’IA può fornire supporto accessibile e immediato, non è un sostituto sufficiente per i terapeuti umani, specialmente quando si tratta di problemi di salute mentale complessi che richiedono un livello più elevato di coinvolgimento. Questo ci riporta a un punto centrale: la tecnologia è uno strumento, e come tutti gli strumenti, il suo impatto dipende da come viene utilizzata e dalla consapevolezza con cui ci relazioniamo ad essa.
Strategie pratiche basate sull’intelligenza emozionale
Sulla base della letteratura scientifica e della pratica clinica, ecco alcune strategie concrete per gestire l’ansia da intelligenza artificiale attraverso lo sviluppo dell’intelligenza emozionale:
1. Pratica la consapevolezza emotiva
- Dedica tempo a riconoscere e nominare le tue emozioni riguardo alla tecnologia
- Tieni un diario emotivo delle tue reazioni quando interagisci con sistemi di IA
- Chiediti: “Cosa mi spaventa veramente in questa situazione?”
2. Sviluppa competenze graduali
Gli studi enfatizzano l’importanza di implementare programmi di formazione volti a migliorare le competenze tecniche specifiche del campo dell’IA. Inizia con piccoli passi: familiarizza gradualmente con gli strumenti di IA, partendo da applicazioni semplici e aumentando progressivamente la complessità.
3. Coltiva il supporto sociale
La ricerca evidenzia come la comunicazione, la trasparenza e la fiducia siano strategie essenziali di intelligenza emozionale per mitigare lo stress tecnologico. Condividi le tue preoccupazioni con altri, partecipa a gruppi di discussione, cerca confronto.
4. Mantieni una prospettiva realistica
Gli esperti di computer science sottolineano l’importanza di sfatare i falsi miti che aleggiano attorno alle nuove tecnologie. Informati da fonti affidabili sulla reale capacità e sui limiti dell’IA, distinguendo tra fantascienza e realtà.
5. Riconosci il tuo valore unico
Identifica le competenze propriamente umane che possiedi: empatia, creatività, pensiero critico complesso, comprensione delle sfumature contestuali. Queste rimangono insostituibili.
6. Pratica l’autocompassione
Invece di giudicarti per le tue paure o per la tua presunta “inadeguatezza tecnologica”, trattati con gentilezza. Il cambiamento rapido è difficile per tutti, ed è normale sentirsi sopraffatti.
Verso una convivenza consapevole
L’intelligenza artificiale non è qui per sostituire l’elemento umano, ma per amplificarne le capacità e creare nuove opportunità. Questa affermazione, sostenuta dalla ricerca empirica, invita a un cambio di prospettiva: da una posizione paranoide-schizoide (per usare la terminologia kleiniana), in cui la tecnologia è vissuta come oggetto persecutorio, a una posizione depressiva più matura, in cui possiamo riconoscere sia gli aspetti positivi che quelli problematici della tecnologia. L’intelligenza emozionale ci offre gli strumenti per operare questa transizione. Ci permette di:
- Riconoscere e accettare le nostre vulnerabilità senza vergogna
- Regolare le nostre risposte emotive senza negare o esagerare le emozioni
- Comprendere il contesto più ampio del cambiamento tecnologico
- Costruire relazioni più autentiche sia con la tecnologia che con gli altri esseri umani
- Mantenere un senso di agency e autoefficacia anche di fronte all’incertezza
In un’epoca dominata dall’intelligenza artificiale, paradossalmente, ciò che ci rende più umani diventa ancora più prezioso. L’intelligenza emozionale – la capacità di navigare il complesso mondo delle emozioni con consapevolezza, comprensione e saggezza – rappresenta non solo una risorsa per gestire l’ansia tecnologica, ma anche una competenza fondamentale per il futuro. Come professionisti della salute mentale, il nostro ruolo non è negare le sfide poste dall’avanzamento tecnologico, né alimentare paure irrealistiche. È invece accompagnare le persone in un processo di elaborazione emotiva che permetta loro di sviluppare una relazione più matura e consapevole con la tecnologia. L’adozione di un’IA responsabile promuove la fiducia degli utenti e degli stakeholder, riduce il rischio di conseguenze negative e favorisce lo sviluppo di soluzioni più efficaci e sostenibili. Ma questa responsabilità non riguarda solo chi sviluppa la tecnologia – riguarda anche noi, nel modo in cui scegliamo di relazionarci ad essa. La paura dell’intelligenza artificiale è reale e comprensibile. Ma attraverso lo sviluppo dell’intelligenza emozionale, possiamo trasformare questa paura in consapevolezza, l’ansia in curiosità, e l’impotenza in empowerment. Non si tratta di eliminare le emozioni difficili, ma di imparare a starci dentro con maggiore equilibrio, comprensione e compassione verso noi stessi e gli altri.
In questo delicato equilibrio tra umano e tecnologico, l’intelligenza emozionale rimane la nostra bussola più affidabile – quella che ci permette di rimanere in contatto con ciò che veramente conta: la nostra umanità.
Bibliografia essenziale
Studi sulla paura dell’IA:
- AI Index Report 2025, Stanford University
- European Parliamentary Research Service (EPRS), “Should we fear artificial intelligence?”
- Rapporto Intelligenza Artificiale 2024, Osservatorio Permanente Aspen Institute
Ricerche su intelligenza emozionale e tecnologia:
- Lomberg, E. N., & Jordaan, J. (2024). Emotional Intelligence, Adjustment, Media and Technology Usage. SAGE Open
- The role of digital leaders’ emotional intelligence in mitigating employee technostress, ScienceDirect (2024)
- Dewaele et al. (2024). The impact of technology on foreign language anxiety, Nature
Studi su IA e salute mentale:
- Spytska, L. (2025). The use of artificial intelligence in psychotherapy. BMC Psychology
- Beg, M. J., Verma, M., & Verma, M. K. (2024). Artificial intelligence for psychotherapy. Indian Journal of Psychological Medicine
- Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali (2025), State of Mind
Sul paradosso automazione-aumentazione:
- Raisch, S., & Krakowski, S. (2021). Artificial intelligence and management: The automation–augmentation paradox. Academy of Management Review
- Acemoglu, D., & Restrepo, P. (2019). Automation and new tasks. Journal of Economic Perspectives
