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Quando l’amore diventa dipendenza

La dipendenza dagli animali d’affezione, o pet addiction, si manifesta con un rapporto fusionale e morboso tra essere umano e animale che risulta disfunzionale sia per la persona che per l’animale stesso. Questo fenomeno, sempre più osservato nella pratica clinica contemporanea, merita un’analisi approfondita che integri le più recenti scoperte neuroscientifiche con una comprensione psicodinamica del disturbo. Come psicologa e educatrice cinofila, osservo quotidianamente come siano in crescita i casi di proprietari con vera e propria “dipendenza da pet”, persone che sviluppano un attaccamento patologico verso i loro animali domestici, spesso utilizzandoli come sostituti di relazioni umane mancanti o problematiche.

Il sistema della ricompensa e l’ossitocina

Le recenti ricerche in neurobiologia ci hanno permesso di comprendere come non vi sono sostanziali differenze per quanto riguarda le aree associate al comportamento di addiction, di qualsiasi forma si tratti. La dipendenza affettiva dagli animali domestici condivide infatti gli stessi circuiti neurali delle dipendenze da sostanze e delle altre dipendenze comportamentali. Le interazioni con il proprio animale stimolano l’organismo a produrre ossitocina, l’ormone che è coinvolto proprio nella creazione dei legami di attaccamento. Questo meccanismo neurochimico, fondamentale per la sopravvivenza della specie e per la formazione di legami sani, può trasformarsi in un circolo vizioso quando diventa l’unica fonte di gratificazione emotiva della persona. Il sistema della “ricerca”, SEEKING SYSTEM, è fondamentalmente dopaminergico, e l’autosomministrazione della sostanza crea un effetto di ricompensa mediato dalla dopamina. Nel caso della pet addiction, il “comportamento di ricerca” si traduce nella costante necessità di interazione con l’animale, nel bisogno compulsivo della sua presenza e nell’incapacità di tollerare la separazione.

L’oggetto transizionale patologico

Dal punto di vista psicodinamico, l’animale domestico può assumere la funzione di oggetto transizionale nel senso winnicottiano del termine. Tuttavia, nella pet addiction, questo oggetto perde la sua funzione evolutiva di facilitazione del processo di separazione-individuazione e diventa invece un oggetto di dipendenza che impedisce la crescita psicologica. Il meccanismo che fa scattare la dipendenza è la carenza di affetti. Chi ne soffre ha un enorme bisogno di attenzioni e di una risposta emotiva immediata. L’animale, nella sua apparente semplicità relazionale, offre questa risposta senza le complessità, le frustrazioni e le ambivalenze tipiche delle relazioni umane. Questo fa sentire potenti, quasi onnipotenti, se si ottiene tutto quello che si vuole da loro. L’animale fa sentire buoni e giustificati, mentre avere a che fare con gli esseri umani, anche solo aiutarli, è più difficile e complesso.

In una prospettiva psicodinamica, possiamo leggere questo fenomeno come una manifestazione di dinamiche narcisistiche immature. L’animale viene idealizzato e utilizzato per mantenere un equilibrio psichico precario, evitando il confronto con la realtà delle relazioni umane mature, caratterizzate da reciprocità, autonomia e accettazione delle differenze. Cani e gatti spesso vengono adulto-morfizzati, nel senso che i proprietari si considerano veri e propri genitori e li trattano come i figli ideali obbedienti, mai deludenti, molto ammaestrabili secondo i propri bisogni inconsci o consci. Questo processo di antropomorfizzazione rappresenta un massiccio utilizzo di meccanismi proiettivi. La persona proietta sull’animale aspetti del Sé e dell’oggetto interno, creando una relazione che, pur apparendo ricca di amore, è in realtà caratterizzata da un investimento narcisistico che non riconosce l’alterità dell’animale.

Chi ha difficoltà sociali e relazionali con le altre persone può ripiegare sulla relazione con l’animale in cui c’è una maggior garanzia di affetto e accettazione incondizionata. Questo pattern suggerisce spesso una storia di attaccamenti insicuri o disorganizzati nell’infanzia. Le persone che sviluppano pet addiction hanno frequentemente vissuto esperienze relazionali traumatiche o frustranti che hanno compromesso la loro capacità di fidarsi e di investire emotivamente negli esseri umani. L’animale diventa così un “oggetto d’amore sicuro” che non può tradire, abbandonare o deludere come invece possono fare gli esseri umani.

Solitudine e isolamento sociale, perdite e lutti possono portare a sviluppare un attaccamento eccessivo all’animale come unica fonte di compagnia e conforto e come motivazione di vita.

In una società sempre più frammentata e individualistica, molte persone sperimentano quello che potremmo definire un “vuoto affettivo cronico“. L’animale domestico viene utilizzato per colmare questo vuoto, ma in modo compulsivo e disfunzionale, impedendo l’elaborazione del lutto e della solitudine.

La pet addiction si manifesta attraverso diversi pattern comportamentali caratteristici: rispondere immediatamente ad ogni segnale di disagio o contrarietà dell’animale, utilizzo dell’animale per colmare vuoti affettivi, per sostituire persone, l’animale è il destinatario delle confidenze come fosse un amico. Questi comportamenti rivelano una inversione della normale dinamica di accudimento: non è più la persona che si prende cura dell’animale secondo i suoi bisogni etologici reali, ma è l’animale che deve soddisfare i bisogni emotivi umani, spesso in modo eccessivo e inappropriate.

Un aspetto centrale della pet addiction è l’impossibilità di tollerare la separazione dall’animale. Questa dinamica simbiotica impedisce sia alla persona che all’animale di sviluppare una sana autonomia e riflette spesso dinamiche infantili non risolte di fusione con l’oggetto primario.

La pet addiction risulta dannosa per l’essere umano che si trova a vivere un rapporto non libero con l’animale, non potendo fare a meno della sua presenza, fino a compromettere le relazioni familiari e sociali, il funzionamento lavorativo, il benessere finanziario: questo ritiro dalle relazioni umane rappresenta una forma di evitamento difensivo che, pur proteggendo temporaneamente dalla paura dell’intimità e del rifiuto, perpetua l’isolamento e impedisce la crescita emotiva.

È importante sottolineare come risulta dannosa per l’animale che diventa un surrogato di altre forme di affetto, non visto e non rispettato nei suoi bisogni etologici, costretto ad adeguarsi ai bisogni dell’umano. Questo aspetto rivela la natura fondamentalmente narcisistica della pet addiction: l’animale non è amato per quello che è, ma per quello che rappresenta per la persona. Viene strumentalizzato per soddisfare bisogni umani, in una dinamica che paradossalmente nega l’amore che proclama.

È fondamentale distinguere la pet addiction da un sano attaccamento agli animali domestici. Il legame che si instaura tra un animale ed il suo proprietario è del tutto simile a quello di attaccamento che si sviluppa tra il bambino ed il caregiver, sia a livello biologico che comportamentale. Un legame sano con l’animale domestico è caratterizzato da reciprocità, rispetto delle caratteristiche etologiche dell’animale, capacità di mantenere altre relazioni significative e flessibilità nel rapporto.

L’animale arricchisce la vita emotiva della persona senza sostituirsi completamente alle relazioni umane.

La trasformazione da attaccamento sano a dipendenza patologica avviene gradualmente e può essere identificata attraverso alcuni indicatori specifici: rigidità nel rapporto, impossibilità di separazione, antropomorfizzazione eccessiva, compromissione delle altre aree di vita, e utilizzo dell’animale come unica fonte di regolazione emotiva.

Il trattamento della pet addiction richiede un approccio che integri la comprensione psicodinamica con le conoscenze neuroscientifiche. È necessario lavorare sui meccanismi difensivi che sottendono la dipendenza, aiutando la persona a riconoscere come l’attaccamento patologico all’animale serva a evitare il confronto con ferite relazionali più profonde. Per superare questa forma di dipendenza è necessario prendere consapevolezza che non si tratta di amore per il proprio animale, ma, anzi, del suo utilizzo egoistico per colmare i propri bisogni e per aggirare le proprie difficoltà.

La riparazione delle capacità relazionali

Il lavoro di sostegno psicologico deve mirare a riparare le capacità relazionali della persona, aiutandola a sviluppare progressivamente la tolleranza per la complessità e l’ambivalenza delle relazioni umane. Questo processo richiede tempo e pazienza, poiché comporta l’affrontare paure profonde di abbandono, rifiuto e intimità. La comprensione dei meccanismi neurobiologici della dipendenza apre nuove possibilità terapeutiche. Interventi che favoriscono la neuroplasticità e la regolazione emotiva, come la mindfulness e le tecniche di regolazione emotiva, possono essere integrati efficacemente nel percorso di cura.

La pet addiction rappresenta un fenomeno complesso che riflette le trasformazioni sociali e relazionali del nostro tempo. In una società sempre più frammentata, un numero crescente di persone, specialmente over 65, soffre di solitudine e necessita di avere con sé una o più creature in grado di amare incondizionatamente. Come professionisti della salute mentale, è nostro compito accompagnare le persone verso una comprensione più profonda dei loro bisogni affettivi, aiutandole a sviluppare relazioni più equilibrate e mature, sia con gli esseri umani che con gli animali. L’obiettivo non è eliminare il legame con l’animale domestico, ma trasformarlo da dipendenza patologica in relazione arricchente e rispettosa.


L’autrice ringrazia tutti i ricercatori che con i loro studi hanno contribuito a una migliore comprensione di questo fenomeno complesso, e dedica questo articolo a tutte le persone che, con coraggio, intraprendono un percorso di crescita personale per sviluppare relazioni più sane e appaganti.