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“Una conoscenza di sé sempre più approfondita è indispensabile per una vera continuazione della vita nella vecchiaia. Lo sguardo deve volgersi dall’esterno verso l’interno, dentro di noi. La scoperta di noi stessi ci mette a disposizione tutto ciò che siamo, ciò che era nostro compito diventare, le basi e lo scopo della nostra vita.” Jung

Quando incontro persone che si avvicinano alla psicoterapia in età avanzata, spesso la prima cosa che mi dicono è: “Forse è troppo tardi per me”. C’è pudore in queste parole, quasi il timore di aver lasciato passare il momento giusto, come se esistesse una scadenza temporale per prendersi cura della propria anima. Questa domanda – esiste un limite d’età per iniziare un’analisi? – ha attraversato generazioni di psicoterapeuti ed è tempo di affrontarla con chiarezza e onestà.

Le origini di un pregiudizio

La questione dell’età in psicoanalisi ha radici storiche precise. Sigmund Freud, nel suo saggio del 1908 “La sessualità nell’etiologia della nevrosi”, aveva espresso riserve sul trattamento analitico di pazienti oltre i cinquant’anni. La sua preoccupazione era duplice: da un lato temeva che la psiche perdesse con l’età quella plasticità necessaria al cambiamento profondo; dall’altro, i primi analisti si trovavano intimoriti dalla vastità del materiale biografico da elaborare, un’esistenza intera che sembrava rendere l’analisi un processo potenzialmente infinito. Questo approccio, comprensibile nel contesto dell’epoca pionieristica della psicoanalisi, ha tuttavia generato un pregiudizio che è sopravvissuto per decenni: l’idea che dopo una certa età il cambiamento psichico non sia più possibile, che i giochi siano ormai fatti.

La verità è molto più complessa e, fortunatamente, molto più incoraggiante. La rigidità psichica non dipende primariamente dall’età anagrafica ma da molteplici fattori della personalità e della storia individuale. Un giovane ventenne con una struttura ossessiva marcata può mostrarsi molto più resistente al cambiamento di un settantenne aperto all’esplorazione di sé e motivato a comprendere le proprie dinamiche inconsce. Come sottolineava Karl Abraham già nel 1919, ciò che davvero conta non è tanto l’età del paziente quanto l'”età della nevrosi”: da quanto tempo quella persona porta con sé la sofferenza che la spinge a chiedere aiuto? Si tratta di una condizione cristallizzata da decenni o di un disagio che mantiene ancora aperture verso la trasformazione? La richiesta stessa di iniziare un percorso analitico in età avanzata rappresenta, di per sé, un potenziale terapeutico significativo. Chi bussa alla porta dello studio dopo tanti anni di vita porta con sé una domanda autentica, un desiderio di comprensione che non si è spento nonostante tutto. Ridurre questa complessità esistenziale a un semplice numero anagrafico sarebbe profondamente riduttivo e, oserei dire, cinico.

Uno dei principi fondamentali della psicoanalisi è quello della ripetizione. Nel corso della nostra esistenza tendiamo a strutturare modalità inconsce di relazionarci con l’Altro, di godere e di soffrire, che si ripetono con una certa regolarità attraverso le diverse esperienze di vita. Al cuore della nevrosi troviamo una logica inconscia che si manifesta ripetutamente, creando schemi riconoscibili. Questo significa che quanto è accaduto nei primi anni di vita mantiene un peso decisivo nella struttura della personalità adulta e anziana. Jean-Paul Sartre, uno dei padri dell’esistenzialismo, affermava che l’infanzia fosse un’epoca intramontabile della vita, con cui tutti siamo chiamati a fare i conti, specialmente una volta divenuti prima adulti e poi anziani. Da una prospettiva junghiana, potremmo dire che il processo di individuazione – quel cammino verso la realizzazione del Sé – non conosce scadenze temporali. Gli archetipi continuano a manifestarsi lungo tutto l’arco della vita, e la seconda metà dell’esistenza porta con sé compiti psichici specifici e preziosi: l’integrazione dell’Ombra, il confronto con l’archetipo del Vecchio Saggio o della Vecchia Saggia, la ricerca di senso che diventa ancora più urgente quando ci si avvicina al termine naturale della vita.

All’interno del cosiddetto “ciclo di vita”, l’anzianità è stata troppo spesso ridotta a mero momento di declino, malattia e sofferenza. Se certamente è vero che il declino fisico e cognitivo rappresenta un aspetto centrale della vecchiaia, allo stesso tempo questa fase della vita porta con sé possibilità uniche di approfondimento e maturazione psichica. La domanda di aiuto del soggetto anziano ha la stessa dignità e lo stesso valore di qualsiasi altra domanda di aiuto. Anzi, potremmo dire che chi arriva alla terapia in età avanzata porta spesso una saggezza esperienziale che può diventare essa stessa risorsa nel lavoro analitico. Non è questione di avere “troppo materiale da analizzare”, ma di avere finalmente la prospettiva necessaria per vedere i fili conduttori della propria esistenza, i temi ricorrenti, le scelte che hanno definito il proprio percorso.

Il tema della morte

Quando si parla di analisi in età avanzata, inevitabilmente emerge il tema della morte. Alcuni potrebbero obiettare: ha senso iniziare un percorso lungo e impegnativo quando il tempo rimasto è limitato? La risposta richiede di affrontare la morte stessa come tema psicologico. Jacques Lacan definiva l’esperienza della morte come il confronto con un “Padrone assoluto”, qualcosa che costituisce un elemento di profonda angoscia e che per questo viene rimosso tanto dal discorso sociale quanto da quello del singolo soggetto. Ma la verità è che il tema della morte non appartiene a una specifica età della vita. La morte costituisce lo sfondo di ogni esistenza umana, di ogni essere umano al di là della propria età. Un giovane può vivere nell’illusione dell’immortalità, ma questa è appunto un’illusione difensiva. Il lutto – della propria morte e di quella altrui – è, come affermava Freud, un passaggio inevitabile che richiede “tempo” e “lavoro” psichico. In questo senso, l’analisi in età avanzata può rappresentare un’opportunità preziosa per affrontare consapevolmente questo confronto con la propria finitezza, trasformando l’angoscia della morte in un’occasione di comprensione più profonda del senso della propria vita.

Norman Cousins, scrittore e pacifista americano, ha espresso un concetto che trovo di straordinaria profondità:

“La morte non è la più grande perdita nella vita. La più grande perdita è ciò che muore dentro di noi mentre stiamo vivendo.”

Queste parole toccano il cuore della questione. Ciò che davvero impoverisce l’esistenza non è il passare degli anni, ma la rinuncia alla propria verità, il tradimento progressivo di parti autentiche di sé, l’accumularsi di non-detti e di possibilità negate. È questa morte interiore, questo lento spegnimento dell’anima, che costituisce la vera perdita. Per questo, non è mai troppo tardi per riprendere in mano il filo della propria vita, per dare voce a ciò che è stato silenziato, per riconoscere e integrare aspetti di sé che sono rimasti nell’ombra. L’analisi offre questa possibilità a qualunque età: uno spazio di verità dove finalmente ascoltarsi, comprendersi, riconciliarsi con la propria storia.

Concludendo, voglio essere chiara: no, non esiste un limite d’età per iniziare un’analisi. Ogni momento della vita porta con sé compiti psichici specifici e opportunità uniche di crescita. La seconda metà della vita, in particolare, può diventare un tempo prezioso di ricapitolazione, integrazione e maturazione.

Se state pensando di iniziare un percorso terapeutico ma l’età vi frena, vi invito a riflettere su cosa davvero vi trattiene. Forse è più la paura del cambiamento che l’età in sé. E questa paura, qualunque sia la vostra età, merita di essere ascoltata e compresa. La porta dello studio analitico è aperta per chiunque porti una domanda autentica, un desiderio sincero di comprensione. Non importa quanti anni avete alle spalle: importa che parte di voi ancora desidera vivere pienamente, conoscersi, trasformarsi.

Come terapeuta in formazione, considero un privilegio accompagnare persone di ogni età in questo viaggio. Ognuno porta con sé una storia unica e irripetibile, e ogni storia merita di essere ascoltata, elaborata, compresa.

Non è mai troppo tardi per prendersi cura della propria anima.


Per approfondire:

  • Etchegoyen – I fondamenti della tecnica psicoanalitica
  • De Masi – Psicoanalisi dell’anziano
  • Corsi, Fattori e Vandi – Vecchiaia e Psicoanalisi