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“L’animale è più vicino all’originaria verità delle cose di quanto lo sia l’uomo con la sua coscienza riflessa e la sua dissimulazione.” – C.G. Jung

La Saggezza Archetipica del Cane nel Setting Terapeutico

La relazione tra esseri umani e cani risale a oltre 15.000 anni fa, rappresentando una delle più antiche forme di connessione trans-specie. Jung vedeva gli animali come rappresentazioni di aspetti dell’inconscio collettivo, portatori di energie psichiche primordiali che l’uomo contemporaneo ha largamente represso nell’evoluzione della coscienza. Il cane, in particolare, occupa uno spazio simbolico unico: soglia tra natura e cultura, istinto e addomesticamento, lealtà incondizionata e libertà selvaggia.

Da un punto di vista archetipico, il cane rappresenta simultaneamente il Guardiano della Soglia, il Compagno Fedele e l’Animale Guida – figure che facilitano il passaggio tra mondi differenti, proprio come avviene nel processo terapeutico tra conscio e inconscio.

La Proiezione dell’Anima sul Compagno Canino

Quando osservo la relazione tra i miei pazienti e i loro cani, non posso fare a meno di notare le intense proiezioni animiche che vi si manifestano. Jung definiva l’anima come la personificazione di tutte le tendenze psicologiche femminili nella psiche maschile (e l’animus come il corrispettivo maschile nella psiche femminile). Ma queste proiezioni non avvengono solo tra esseri umani.

Spesso vediamo i nostri cani come portatori di qualità che sentiamo mancanti in noi stessi: spontaneità, gioia incondizionata, presenza nel momento, accettazione senza giudizio. Il cane diventa così un contenitore vivente di aspetti della nostra ombra positiva – quelle qualità luminose che non riconosciamo ancora come nostre.

Elena, una paziente di 42 anni alle prese con un perfezionismo paralizzante, ha iniziato a portare in seduta Olivia, la sua vivace meticcia. “Olivia non si preoccupa mai se qualcosa è perfetto,” ha osservato un giorno. “È felice semplicemente di esistere.” Questa semplice osservazione ha aperto una porta verso l’esplorazione delle parti di Elena che desideravano liberarsi dall’implacabile critico interiore.

Il Cane Come Facilitatore del Processo Terapeutico

La presenza del cane del paziente in seduta crea un triangolo relazionale che arricchisce significativamente il campo terapeutico. Ecco come:

1. Regolazione Emotiva Attraverso la Co-Presenza

I cani sono naturalmente sintonizzati con gli stati emotivi umani. Ricerche neuroscientifiche hanno dimostrato che la semplice presenza di un cane familiare abbassa i livelli di cortisolo e aumenta la produzione di ossitocina, l’ormone dell’attaccamento. Questo effetto biologico crea un contenimento emotivo che permette al paziente di avventurarsi in territori psichici altrimenti troppo minacciosi.

Carlo, un paziente con PTSD, poteva parlare dei suoi traumi solo quando il suo pastore tedesco Argo era accucciato ai suoi piedi. “Sento che lui capisce, senza bisogno di spiegazioni,” mi ha detto. “E se sto con lui, so che non mi perderò completamente in quei ricordi.”

2. Amplificazione dei Complessi e delle Dinamiche Interpersonali

Il modo in cui un paziente interagisce con il proprio cane spesso rivela dinamiche relazionali inconsce che potrebbero rimanere inaccessibili nel dialogo terapeutico diretto:

  • La paziente che controlla eccessivamente ogni movimento del suo cane rivela spesso un complesso di controllo attivo anche nelle sue relazioni umane
  • Chi parla al proprio cane con un linguaggio infantilizzante potrebbe star proiettando un aspetto bambino non integrato
  • La persona che si preoccupa costantemente che il cane disturbi mostra spesso simili angosce sulla propria presenza nel mondo

Maria portava il suo shih tzu Lillo in seduta, tenendolo sempre in braccio e riaggiustandogli continuamente il pelo. “Non voglio che faccia disordine,” ripeteva. Questo comportamento è diventato una metafora vivente del suo tentativo di controllare le proprie emozioni “disordinate”, offrendo un punto d’accesso tangibile al suo complesso di controllo.

3. Ponte Verso il Sé e l’Individuazione

Jung vedeva il processo di individuazione – il cammino verso la realizzazione del proprio Sé autentico – come il compito centrale della seconda metà della vita. Curiosamente, la relazione con un cane spesso facilita questo processo. Il cane ci accetta esattamente come siamo, offrendo uno specchio non distorto dalle aspettative sociali.

Durante una seduta particolarmente intensa, Gabriele, un dirigente di 55 anni, osservò il modo in cui il suo vecchio beagle lo guardava: “Lui mi vede veramente, non il mio ruolo o il mio successo professionale. Mi vede come sono.” Questa realizzazione è diventata una potente metafora del suo processo di individuazione – l’incontro con il suo Sé al di là delle maschere sociali.

4. Sincronicità e Momenti Significativi

Una delle osservazioni più affascinanti che ho fatto riguarda la sincronicità – quel concetto junghiano di coincidenze significative non causali – che sembra verificarsi con particolare frequenza quando un cane è presente in seduta.

Il cane spesso si attiva, si avvicina o manifesta comportamenti peculiari proprio nei momenti in cui vengono toccati contenuti emotivamente carichi o quando emerge materiale inconscio significativo. Questi momenti di apparente “casualità” spesso contengono un significato simbolico profondo che arricchisce il processo terapeutico.

Durante una seduta, proprio mentre Francesco parlava della sua paura di abbandono, il suo bassotto Attila, fino a quel momento tranquillo, si è alzato improvvisamente per appoggiarsi contro la sua gamba. Questo gesto, apparentemente casuale, ha creato un potente momento di insight emotivo che ha facilitato una svolta nel suo processo terapeutico.

Considerazioni Pratiche per Integrare il Cane in Seduta

L’inclusione del cane del paziente nelle sedute non è priva di considerazioni pratiche e terapeutiche. È importante stabilire un framework chiaro:

  1. Valutazione dell’appropriatezza: Non tutti i cani o tutte le situazioni terapeutiche sono adatti a questa configurazione. Il temperamento del cane, il suo addestramento e la natura del lavoro terapeutico sono fattori da considerare attentamente.
  2. Setting modificato ma contenuto: Lo spazio fisico deve essere adattato per accogliere comodamente il cane, mantenendo al contempo i confini necessari al lavoro terapeutico.
  3. Integrazione nel processo: Il cane non è semplicemente “presente” ma diventa parte della dinamica terapeutica. Le sue reazioni, comportamenti e la relazione con il paziente possono essere integrati nelle riflessioni e interpretazioni.
  4. Attenzione al controtransfert: Come terapeuta, devo essere consapevole delle mie reazioni verso il cane del paziente, riconoscendo che anche queste contengono informazioni preziose sul processo terapeutico.

La Prospettiva Junghiana sull’Integrazione del Cane in Terapia

Da un punto di vista junghiano, il cane in seduta rappresenta un potente simbolo di congiunzione degli opposti – natura e cultura, conscio e inconscio, istinto e riflessione. Questa tensione di opposti è al cuore della visione junghiana della psiche e del processo di individuazione.

Il cane diventa un tertium non datur – un terzo elemento che trascende e unisce le polarità – creando uno spazio transizionale dove può avvenire la trasformazione psichica. Come scriveva Jung, “l‘incontro di due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche: se c’è una reazione, entrambe si trasformano.” Aggiungere il cane a questa equazione amplifica e catalizza le possibilità trasformative.

Inoltre, il cane rappresenta ciò che Jung chiamava l’archetipo del Sé – il centro e la totalità della psiche – nella sua capacità di integrare aspetti apparentemente contraddittori: il cane è simultaneamente domestico e selvaggio, dipendente eppure autonomo, profondamente connesso eppure altro.

Conclusione: Il Cane Come Co-Terapeuta Archetipico

Portare il proprio cane in seduta non è un semplice comfort o una comodità logistica, ma può rappresentare un profondo valore aggiunto al processo terapeutico. Il cane diventa un ponte simbolico tra mondi interiori ed esteriori, facilitando l’esplorazione di territori psichici altrimenti difficilmente accessibili.

Come terapeuti junghiani, siamo chiamati a riconoscere e valorizzare la saggezza archetipica che il cane porta nello spazio terapeutico. Non è solo un compagno silenzioso, ma un attivo partecipante al processo di individuazione – un co-terapeuta archetipico che ci aiuta a riconnettere con quelle parti istintive, autentiche e vitali che la coscienza moderna tende a dimenticare.

Nella mia esperienza clinica, i pazienti che portano i loro cani in seduta spesso progrediscono più rapidamente verso l’integrazione degli opposti e la connessione con il proprio Sé autentico. Il cane diventa un vivente simbolo di individuazione, ricordandoci che il nostro compito non è trascendere la nostra natura animale, ma integrarla consapevolmente nella totalità del nostro essere.


Nomi di pazienti e cani sono naturalmente di fantasia.