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“L’incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche: se c’è una reazione, entrambe ne escono trasformate”. Jung

Nel mio percorso ho avuto modo di osservare come l’elemento più potente del cambiamento terapeutico non sia tanto una specifica tecnica o un particolare intervento, quanto piuttosto la qualità della relazione che si sviluppa tra specialista e paziente. Questa relazione speciale, denominata “alleanza terapeutica”, rappresenta il terreno fertile su cui possono germogliare insight, elaborazioni e trasformazioni profonde. In questo articolo, esplorerò perché l’alleanza terapeutica costituisce l’elemento fondamentale del processo psicoterapeutico, illustrando esempi clinici e riferimenti alla letteratura scientifica che ne dimostrano l’importanza cruciale.

Cos’è l’alleanza terapeutica?

L’alleanza terapeutica, concetto originariamente elaborato da Zetzel (1956) e successivamente approfondito da Bordin (1979), rappresenta un accordo collaborativo tra paziente e terapeuta che comprende tre elementi essenziali:

  1. Un accordo sugli obiettivi della terapia
  2. Un consenso sui compiti necessari per raggiungere tali obiettivi
  3. Lo sviluppo di un legame emotivo basato sulla fiducia e sul rispetto reciproco

Non si tratta semplicemente di una relazione amichevole o di un rapporto caratterizzato da simpatia reciproca, ma di un’autentica partnership terapeutica in cui entrambi i partecipanti lavorano attivamente verso il cambiamento, ciascuno con il proprio ruolo e le proprie responsabilità.

La letteratura scientifica ha ampiamente confermato l’importanza dell’alleanza terapeutica come predittore di successo in psicoterapia. Le meta-analisi condotte da Horvath e Symonds (1991) e, più recentemente, da Flückiger e colleghi (2018) hanno dimostrato una correlazione moderata ma robusta tra la qualità dell’alleanza e i risultati terapeutici, indipendentemente dall’orientamento teorico del terapeuta.

Lo studio di Safran e Muran (2000) ha inoltre evidenziato come il riconoscimento e la riparazione delle rotture nell’alleanza terapeutica siano processi cruciali per il progresso della terapia. Queste “rotture” rappresentano momenti di tensione o incomprensione nella relazione terapeutica che, se adeguatamente affrontati, possono trasformarsi in opportunità preziose di crescita e approfondimento.

Nella prospettiva psicodinamica, l’alleanza terapeutica assume un significato particolare. Come sottolineato da Gabbard (2017), essa rappresenta la capacità del paziente di lavorare in modo collaborativo con il terapeuta nonostante l’emergere di transfert negativi e resistenze. È proprio attraverso questa alleanza che il paziente può gradualmente esplorare contenuti dolorosi o minacciosi, affrontare conflitti inconsci e sviluppare modalità più adattive di relazionarsi con sé stesso e con gli altri.

L’alleanza si configura come uno spazio protetto in cui il paziente può sperimentare nuove modalità relazionali, ricevere feedback onesti ma non giudicanti e fare esperienza di un attaccamento sicuro che spesso non ha potuto sperimentare nelle relazioni primarie.

Un esempio clinico: il caso di Marco

Per illustrare l’importanza dell’alleanza terapeutica, vorrei condividere il caso di Marco (nome di fantasia), un uomo di 35 anni giunto in terapia con una diagnosi di disturbo depressivo ricorrente.

Nelle prime sedute, Marco appariva diffidente e distaccato. Rispondeva alle mie domande in modo conciso, evitando il contatto visivo e mantenendo un atteggiamento di generale sfiducia. La sua storia personale rivelava una figura paterna autoritaria e critica, che aveva generato in lui la convinzione che mostrare vulnerabilità fosse pericoloso e che gli altri, prima o poi, lo avrebbero abbandonato o tradito.

Invece di interpretare prematuramente queste sue difese o di spingerlo verso una maggiore apertura, ho scelto di rispettare i suoi tempi, mostrandomi costantemente presente e affidabile. Ho validato i suoi timori riguardo alla terapia, normalizzando la sua esitazione a fidarsi di una persona sconosciuta. Gradualmente, seduta dopo seduta, l’alleanza terapeutica ha iniziato a consolidarsi.

Un momento cruciale è avvenuto quando, dopo circa tre mesi di terapia, Marco ha condiviso un sogno particolarmente significativo. Quando gli ho offerto una possibile interpretazione, lui ha reagito con irritazione, sentendosi incompreso. In quel momento di rottura dell’alleanza, invece di difendere la mia interpretazione o ritirarmi, ho riconosciuto apertamente la sua frustrazione e ho invitato Marco a esplorare insieme cosa stesse accadendo tra noi.

Questo episodio ha rappresentato un punto di svolta: Marco ha potuto sperimentare che la mia risposta alla sua irritazione non era stata l’abbandono o la critica, ma un genuino interesse a comprendere la sua esperienza. Questo ha rafforzato notevolmente la nostra alleanza terapeutica, permettendogli di rischiare una maggiore apertura emotiva nelle sedute successive.

Un elemento chiave dell’approccio psicodinamico è l’attenzione al transfert, ovvero la tendenza del paziente a trasferire sulla figura del terapeuta sentimenti, atteggiamenti e aspettative derivanti da relazioni significative del passato, in particolare quelle con le figure genitoriali.

Come evidenziato da Kernberg (2016), l’alleanza terapeutica non è separata dal transfert, ma rappresenta piuttosto una parte dell’esperienza transferale in cui il paziente è capace di mantenere un “osservatore interno” che riconosce il valore della relazione terapeutica al di là delle distorsioni transferali.

Nel caso di Marco, ad esempio, l’aspettativa transferale di essere criticato o abbandonato ha inizialmente ostacolato lo sviluppo dell’alleanza. Tuttavia, man mano che sperimentava una risposta diversa da quella attesa, ha potuto gradualmente differenziare la relazione terapeutica dalle sue esperienze passate, permettendo all’alleanza di rafforzarsi.

L’alleanza terapeutica e la neurobiologia dell’attaccamento

Recenti ricerche in neurobiologia hanno fornito supporto empirico all’importanza dell’alleanza terapeutica. Gli studi di Schore (2012) hanno evidenziato come una relazione terapeutica sicura e sintonizzata possa favorire la regolazione affettiva e promuovere cambiamenti a livello neurobiologico.

Attraverso la sintonizzazione emotiva che caratterizza una buona alleanza terapeutica, il terapeuta aiuta il paziente a regolare stati emotivi intensi, facilitando l’integrazione tra processi cognitivi ed emotivi e promuovendo lo sviluppo di nuove connessioni neurali associate a modalità più adattive di pensiero e comportamento.

Conclusioni: coltivare l’alleanza terapeutica

L’alleanza terapeutica non è un fenomeno statico che si stabilisce una volta per tutte, ma un processo dinamico in continua evoluzione che richiede attenzione, cura e periodiche “manutenzioni”. Come terapeuti, dobbiamo essere consapevoli che la qualità dell’alleanza può fluttuare nel corso della terapia e che momenti di tensione o rottura rappresentano non tanto fallimenti quanto opportunità preziose per approfondire il lavoro terapeutico.

La ricerca conferma che la capacità del terapeuta di riconoscere tempestivamente segnali di insoddisfazione o tensione nell’alleanza, di affrontarli apertamente e di riparare le rotture quando si verificano, è associata a migliori risultati terapeutici (Eubanks, Muran e Safran, 2018).

In un’epoca in cui le tecniche e i protocolli terapeutici proliferano, l’alleanza terapeutica ci ricorda che al cuore della psicoterapia c’è sempre una relazione umana autentica.

Come affermava Jung, “l’incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche: se c’è una reazione, entrambe ne escono trasformate”. Nella mia esperienza clinica, ho ripetutamente osservato come i momenti di maggiore trasformazione terapeutica si verifichino non tanto attraverso brillanti interpretazioni o sofisticate tecniche, quanto piuttosto all’interno di una solida alleanza terapeutica in cui il paziente si sente profondamente visto, compreso e accettato, pur nella consapevolezza dei propri limiti e difficoltà.